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Lei mi ricorda un tale / Un tale, chi? / Uno che ci sa fare / Sa fare che? / Con uno come lei.
il luogo condiviso degli studenti di ellEbOro
[ -11 left days ] Appello di luglio
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Certe persone credono che il catch sia uno sport ignobile. Il catch non è uno sport, è uno spettacolo, e non è più ignobile assistere a una rappresentazione catchistica del Dolore che alle sofferenze di Arnolfo o di Andromaca. Certo, esiste un falso catch rappresentato con grandi spese e le apparenze inutili di uno sport regolare; questo non ha nessuna importanza. Il vero catch, detto impropriamente catch dilettantistico, si pratica nelle sale di periferia, dove il pubblico si accorda spontaneamente alla natura spettacolare del combattimento, come fa il pubblico di un cinema dei sobborghi. Quelle stesse persone si indignano poi del fatto che il catch sia uno sport truccato (Il che, del resto, dovrebbe in parte liberarlo della sua ignominia). Il pubblico si disinteressa altamente di sapere se l'incontro è o non è truccato, e ha ragione; si abbandona alla prima virtù dello spettacolo, che è quella di abolire ogni movente e conseguenza: non gli importa ciò che vede ma ciò che crede.Questo pubblico sa distinguere molto bene il catch dal pugilato; sa che il pugilato è uno sport giansenista, fondato sulla dimostrazione di una supremazia; si può scommettere sul risultato di un incontro di pugilato: per il catch non avrebbe senso. L'incontro di pugilato è una storia che si costruisce sotto gli occhi dello spettatore; nel catch, al contrario, intellegibile è ogni momento, non la durata. Lo spettatore non si interessa al consolidarsi di un successo, esige dunque una lettura immediata dei sensi giustapposti, senza che sia necessario connetterli. L'avvenire razionale del combattimento non interessa l'appassionato di catch, dove invece un incontro di pugilato implica sempre una scienza del futuro. In altre parole il catch è una somma di spettacoli nessuno dei quali è una funzione: ogni momento impone la conoscenza totale di una passione che si eleva sola e diritta, senza mai distendersi verso il coronamento di un risultato.
Questa funzione di enfasi è ben la stessa del teatro antico, il cui meccanismo, la cui lingua e accessori (maschere e coturni) concorrevano alla spiegazione esageratamente visibile di una Necessità. Il gesto del lottatore vinto che rende manifesta al mondo la sua sconfitta e lungi dal mascherarla l'accentua e tiene come una nota allungata, corrisponde alla maschera antica che deve rendere manifesto il tono tragico dello spettacolo. Al catch, come sugli antichi teatri, non si ha vergogna del proprio dolore, si è capaci di piangere, si ha il gusto delle lacrime.
La prima chiave del combattimento è quindi il corpo del lottatore. Fin da principio so che tutti i gesti di Thauvin, i suoi tradimenti, le sue crudeltà e vigliaccherie, non deluderanno la prima immagine ch'egli mi ha dato dell'ignobile, posso fargli fiducia ch'egli compierà intelligentemente e fino in fondo tutti i gesti di una determinata informe bassezza e che colmerà fino all'orlo l'immagine del farabutto più ripugnante che ci sia: il farabutto-piovra. I lottatori hanno perciò un fisico altrettanto perentorio che i personaggi della Commedia dell'arte, i quali scoprono in anticipo, nei loro costumi e atteggiamenti, il contenuto futuro delle loro parti: allo stesso modo che Pantalone non potrà non essere un cornuto ridicolo, Arlecchino un servo astuto e il Dottore un pedante imbecille, così Thauvin non sarà altro che il traditore ignobile; Reinières (un gigante biondo dal corpo molliccio e la folle capigliatura) l'immagine commovente della passività, Mazaud (galletto arrogante) quella della fatalità grottesca, e Orsano (gagà effeminato comparso fin dall'inizio in una vestaglia azzurra e rosa) quella, doppiamente piccante, di una salope vendicativa (perché non penso che il pubblico dell'Elysée-Montmartre segua Littré e prenda il termine salope per un maschile).Il fisico dei lottatori costituisce dunque un segno basilare, che contiene in germe tutto il combattimento. Ma questo germe prolifera perché in ogni fase del combattimento, in ogni nuova situazione, il corpo del lottatore offre al pubblico il divertimento unico di un carattere naturalmente collegato a un gesto. Le diverse linee di significazione si illuminano reciprocamente, e formano il più intellegibile degli spettacoli. Il catch è come una scrittura diacritica: al di sopra della significazione fondamentale del suo corpo, il lottatore dispone di spiegazioni episodiche ma sempre opportune, aiutando incessantemente la lettura del combattimento mediante gesti, atteggiamenti e mimiche che portano l'intenzione alla sua massima evidenza. Ora il lottatore trionfa con un ghigno ignobile nell'atto di tenere il bravo sportivo sotto le ginocchia, poi rivolge alla folla un sorriso di sufficienza, annunciante la vendetta vicina; traccia per terra ad indicare a tutti la natura intollerabile della sua situazione; alla fine, mette su un insieme complicato di segni intesi a mostrare come egli incarni a buon diritto l'immagine sempre divertente del caratteraccio che fa della sua scontentezza una fonte inesauribile di chiacchiere.
Si tratta dunque di una vera a propria Commedia Umana, dove le più sottili gradazioni sociali della passione (fatuità, senso del proprio diritto e del "ripagamento", crudeltà raffinata) incontrano sempre, fortunatamente, il segno più chiaro che le possa raccogliere, esprimere e portare trionfalmente fino ai confini della sala. Su questo piano si capisce che non importi più che la passione sia autentica. Il pubblico reclama solo l'immagine della passione, non la passione in sé. Nel catch non c'è problema di verità come non c'è a teatro. In questo come in quello, quando ci si aspetta è la raffigurazione intellegibile di situazioni morali abitualmente nascoste. Questo svuotamento dell'interiorità a vantaggio dei suoi segni esteriori, questo esaurimento del contenuto nella forma, è il principio stesso dell'arte classica trionfante. Il catch è una pantomima immediata, infinitamente più efficace della pantomima teatrale, perché il gesto del lottatore non ha bisogno di nessun racconto, di nessuno scenario, in una parola di nessun rimando, per apparire vero.
Il catch espone il dolore umano con tutta l'amplificazione delle maschere tragiche: il lottatore che soffre sotto l'effetto di una presa ritenuta crudele (un braccio contorto, una gamba incastrata) presenta la figura eccessiva della Sofferenza; come una Pietà primitiva, lascia vedere il volto esageratamente deformato da un'afflizione intollerabile. Si capisce che nel catch il pudore sarebbe fuori posto, in contrasto con l'ostentazione programmatica dello spettacolo, con quella Esposizione del Dolore che è la finalità stessa del combattimento. Così tutti gli atti generatori di sofferenza sono particolarmente spettacoli, come il gesto di un prestigiatore che faccia vedere ben alte le carte: non si capirebbe un dolore che risultasse senza causa intellegibile; un gesto segreto effettivamente crudele trasgredirebbe le leggi non scritte del catch e non sarebbe di alcuna efficacia sociologica, come un gesto folle o parassita. Al contrario la sofferenza appare inflitta con larghezza e convinzione, perché bisogna che tutti non solo rilevino che l'uomo soffre, ma anche e soprattutto capiscano perché soffre. Quella che i lottatori chiamano "una presa", cioè una qualsiasi figura che permetta di immobilizzare indefinitamente l'avversario e tenervelo a proprio piacimento, ha appunto la funzione di preparare in modo convenzionale, quindi intellegibile, lo spettacolo della sofferenza, di porre metodicamente le condizioni della sofferenza: l'inerzia del vinto permette al vincitore (momentaneo) di confermarsi nella sua crudeltà e di trasmettere al pubblico la terrificante ignavia dell'aguzzino sicuro del susseguirsi dei propri gesti: strofinare rudemente il muso dell'avversario impotente o raschiare la sua colonna vertebrale con pugno profondo e regolare, compiere almeno la superficie visiva di questi gesti: il catch è il solo sport che dia un'immagine tanto esteriore della tortura. Ma, ancora una volta, solo l'immagine è nel campo del gioco, e lo spettatore non desidera affatto la sofferenza reale del lottatore, gusta solo la perfezione di un'iconografia. Non è vero che il catch sia uno spettacolo sadico: è soltanto uno spettacolo intellegibile.C'è un'altra figura ancora più spettacolare della presa, ed è la manchette, quella grande pacca degli avambracci, quel pugno larvato con cui si massacra il petto dell'avversario, con un suono vuoto e con l'accasciamento esagerato del corpo vinto. Nella manchette la catastrofe è portata al massimo dell'evidenza, tanto che, al limite, il gesto finisce per ridursi a un simbolo; ma è andare troppo oltre, uscire dalle regole del catch, in cui ogni segno deve essere estremameente chiaro senza però lasciar trasparire la sua intenzione di chiarezza; il pubblico allora grida "Simulatore", non perché lamenti l'assenza di una sofferenza effettiva, ma perché condanna l'artificio: come a teatro, si viene meno al gioco tanto per eccesso di sincerità quanto per eccesso di studio.
La mollezza dei grandi corpi bianchi che crollano a terra tutti d'un pezzo o affondano nelle corde agitando le braccia, l'inerzia dei massicci lottatori fatti miserevolmente rimbalzare da tutte le superfici elastiche del quadrato, niente può significare più chiaramente e più appassionatamente l'esemplare abbassamento del vinto. Privata di ogni possibilità di reazione la carne del lottatore è solo una massa ignobile sparsa a terra che invita a ogni sorta di incrudelimento e di delirio. Si ha qui un parossismo di significazione all'antica, che non può non richiamare il lusso di intenzioni dei trionfi latini. In altri momenti è ancora una figura antica che nasce dall'accoppiamento dei lottatori, quella del supplice, dell'uomo arreso a discrezione , piegato in ginocchio, con le braccia alzate sopra la testa, e lentamente abbassato dalla tensione verticale del vincitore. Nel catch, contrariamente al judo, la Sconfitta non è un segno convenzionale abbandonato appena ottenuto; non è uno scioglimento, bensì, al contrario, una durata, una esibizione che riprende gli antichi miti della Sofferenza e dell'Umiliazione pubblica: la croce e la gogna. Il lottatore è come crocifisso alla luce del giorno, agli occhi di tutti. Ho sentito dire di un lottatore steso a terra: "Ecco, il piccolo Gesù è morto in croce", e questa frase ironica scopriva le radici profonde di uno spettacolo in cui si compiono gli stessi gesti delle più antiche purificazioni.Ma il catch ha soprattutto il compito di mimare un concetto puramente morale: la giustizia. L'idea di ripagamento è essenziale al catch e il "Fagli male" della folla significa prima di tutto un "Fagliela pagare". Si tratta dunque, senza dubbio, di una giustizia immanente. Più è vile l'azione del salaud, più il colpo che gli è giustamente reso riempie il pubblico di soddisfazione: se il traditore – che è naturalmente un pavido – si rifugia dietro le corde facendo capire la realtà del suo torto con una mimica sfrontata, ne viene spietatamente riacciuffato, e la folla delira di fronte alla violazione della regola in nome di un meritato castigo. I lottatori sanno assecondare benissimo la capacità di indignazione del pubblico presentatogli il limite stesso del concetto di giustizia, quella zona estrema dello scontro in cui basta allontanarsi ancora un po' dalla regola per aprire le porte di un mondo sfrenato. Per l'appassionato di catch niente è più bello del furore vendicativo di un lottatore tradito che si scaglia con foga non su un avversario fortunato ma sull'immagine sferzante della slealtà. Naturalmente qui importa molto più il processo della Giustizia che non il suo contenuto: il catch è prima di tutto una serie quantitativa di compensazioni (occhio per occhio, dente per dente). Questo spiega come i rovesciamenti di situazione posseggano agli occhi degli appassionati del catch una sorta di bellezza morale: essi ne godono come di una vicenda romanzesca ben a proposito, e più è grande il contrasto tra la riuscita di un colpo e il mutare della sorte, più è vicina al crollo la fortuna di un contendente e più il melodramma è giudicato soddisfacente. La Giustizia è quindi il corpo di una trasgressione possibile; proprio in quanto c'è una Legge lo spettacolo delle passioni che soverchiano ha tutto il suo valore.
E' già stato notato che in America il catch raffigura una sorta di mitologica lotta tra il Bene il Male (di natura para-politica, il cattivo lottatore venendo sempre ritenuto un "Rosso"). Il catch francese ricupera una eroicizzazione tutta diversa, di ordine etico e non più politico. Ciò che il pubblico cerca, qui, è la costruzione progressiva di un'immagine eminentemente morale: quella del perfetto farabutto. Si va al catch per assistere alle avventure rinnovate di un grande protagonista, personaggio unico, permanente e multiforme come Guignol o Scapin, inventivo di figure inattese e tuttavia sempre fedele alla sua parte. Il farabutto si rivela come un carattere di Molière o un ritratto di La Bruyère, cioè come un'entità classica, come un'essenza, i cui atti non sono che epifenomeni significativi distribuiti nel tempo. Questo carattere stilizzato non appartiene a nessuna nazione né ad alcun partito, e sia che il lottatore si chiami Kuzchenco (soprannominato "Baffone" a motivo di Stalin); Yerpazian, Gaspardi, Jo Vignola, o Nollières, l'utente non gli attribuisce altra patria che quella della "regolarità".
Una finalità tanto precisa richiede che il catch sia esattamente quello che il pubblico si aspetta. I lottatori, uomini di grande esperienza, sanno perfettamente inflettere gli episodi spontanei del combattimento verso l'immagine che il pubblico si è fatto dei temi meravigliosi della sua mitologia. Un lottatore può irritare o disgustare, mai deludere, perché compie sempre fino in fondo, per una progressiva solidificazione dei segni, quello che il pubblico si aspetta da lui. Nel catch niente esiste se non totalmente, non c'è nessun simbolo, nessuna allusione, tutto è dato esaurientemente; non lasciando niente in ombra, il gesto taglia via tutti i sensi parassiti e presenta cerimonialmente al pubblico una pura e completa significazione, tonda come una natura. Quest'enfasi non è altro che l'immagine popolare e ancestrale della perfetta intelligibilità del reale. Ciò che dal catch viene mimato, quindi, è un'intelligenza ideale delle cose, è un'euforia degli uomini, sollevati per un momento al di sopra dell'ambiguità costitutiva delle situazioni quotidiane e installati nella visione panoramica di una Natura univoca, in cui i segni corrispondano finalmente alle cause, senza ostacoli, senza scappatoie e senza contraddizioni.