sabato 8 agosto 2009

Il canto a più voci delle balene della groenlandia



Una nuova notizia ci giunge dai ricercatori della stazione scientifica di Disko Bay, dell'università di Copenaghen. Da tempo è risaputo che le balene producono canti d'amore, ma la cosa particolare è che la Balena Franca della Groenlandia emetta delle canzoni a più voci,talvolta mischiate fra di loro, fenomeno del tutto inesistente in altre specie di balene.
Questo repertorio di canzoni cambia ogni anno, si presume per attirare di volta in volta il patner e per non fare estinguere la specie.Inoltre queste balene sono le uniche ad emettere canzoni molto complicate che raggiungono le frequenze più alte ( dai 100 ai 2000 Hertz).
E' l'unica specie dove i ricercatori non sono ancora riusciti a distinguere se il canto provenga dalla femmina o dal maschio.


Orale


L'espressione orale non è mai solo verbale, ma è uno stile di vita 'verbomotorio', che coinvolge il corpo intero dell'individuo in ogni attività: ogni azione e interazione è retorica.

(..) L'udito, a differenza della vista che isolando i singoli elementi li separa, li unifica e li armonizza.
“Un'economia verbale dominata dal suono tende verso l'aggregazione (armonia) piuttosto che verso l'analisi disaggregante (che compare assieme alla parola scritta, visualizzata). Tende anche all'olismo conservatore (il presente omeostatico che dev'essere mantenuto intatto, le espressioni formulaiche che devono essere conservate), al pensiero situazionale (di nuovo olista, con l'azione umana al suo centro) piuttosto che a quello astratto, ad una organizzazione della conoscenza centrata attorno alle azioni di esseri umani o antropomorfi, piuttosto che attorno a cose impersonali”.
[http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=4138]

Fin qui la Tussi; poi, possiamo avvicinare l'oralità secondaria, quella che ci interessa, cioè di persone che parlano come magnano e che scrivono come parlano in telematica: è di massa, praticata fuori dalle scuole (alleluja), confonde i vari piani ma solo perchè li ignora; non sa scrivere secondo la definizione di una professoressa e se-è-per-questo non sa neanche parlare; affastella parole sulla tastiera che seguono solo il flusso della comunicazione che sente immediata ma che pretende scritta hic et nunc per sempre.
La sua oralità è senza corpo, senza voce, ma anche senza sintassi o paratassi: eppure funziona grezzamente, va allo scopo.
La nuova oralità presenta somiglianze con la vecchia per la sua mistica partecipatoria, il senso della comunità, la concentrazione sul presente e addirittura per l'uso di alcune formule, ma essa genera il senso di appartenenza a gruppi molto più ampi - a ciò che McLuhan chiama “villaggio universale”..
La telematica non rovina niente, dato che prima di andare alla tastiera costui non sa parlare e neanche scrivere, anzi questa telematica (sms o email, non conta) sblocca un interdetto: rimette in gioco le parole e non per giocare, ma per esprimere, dire, fare.

Chi è che ha detto, quel genio, che crediamo di dover parlare come ci hanno insegnato alcune maestre alle scuole elementari, una lingua castrata e inutilmente formalizzata da altri - come le espressioni matematiche che a noi non dicono altro che " esercitami !".

Vediamo, copia incolla e via, un testo cercato con google sulla funzione delle maestre e della scuola.
Don Milani
Lettera ai giudici Barbiana 18 ottobre 1965

Signori Giudici,

vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. […]

La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico. La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme. […]

Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l'unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una “guerra giusta”. D'una guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con “interviste” piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle “interviste” senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata.

Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non toccava a lui chiamare “vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore” quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici. A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona. La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.

Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).

Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto. Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.

Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso legislativo. L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale “al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali”. (ordine del giorno approvato all'unanimità nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali è l'articolo 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora. È dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali. A sentir loro tutte le guerre erano “per la Patria”.

Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che “per la Patria” non erano. I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare. Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta. Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza. Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria? Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone in Russia. Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a Suez. Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in Polonia. Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24 Maggio. Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. […]

Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale. Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre. A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca. Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati. E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha fatto quand'era “un bravo ragazzo, un soldato disciplinato” (secondo la definizione dei suoi superiori) “un povero imbecille irresponsabile” (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio di Claude Eatherly e Gunter Anders - Einaudi 1962).

Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: “Tant'è ladro chi ruba che chi para il sacco”. Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. […]

Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non si parlava di armi atomiche. “Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra” (Nonviolence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1). Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la Chiesa né per la Costituzione. […]

E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana? Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura. Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima.

Don Milani

La scrittura Vs i computer

Molti si sorprendono quando vengono a sapere che quasi le stesse obiezioni che oggi sono comunemente rivolte ai computer venivano mosse alla scrittura da Platone, nel Fedro (274-7) e nella Settima lettera.
La scrittura, Platone fa dire a Socrate nel Fedro, è disumana perchè finge di ricreare fuori della mente ciò che in realtà può esistere solo al suo interno. La scrittura è una cosa, un manufatto (..) [Ong]

In realtà (Havelock) ha eccellentemente dimostrato che tutta l'epistemologia platonica inconsapevolmente si fondava proprio su un rifiuto del vecchio mondo della cultura orale, mobile e caldo, il mondo delle interazioni personali, rappresentato dai poeti, che egli non aveva voluto nella sua Repubblica.
[Ong]

In MondoAiLati e poi in ellEbOro la natura orale del discorso che si teneva era del tutto evidente, infatti negli inserti scritti si rilevava un rallentamento e si deprecava una evidente mancanza di dinamismo; sebbene tutto fosse scritto=>digitato si era convinti naturalmente di parlare con gli altri, si mimavano persino i gesti, per così dire, si evocava di continuo il corpo a garante della vivezza ed attualità del discorso.
Anche ora magari si pretende il
voicemail - let-te-ral-men-te - come referente della vocalità e dell'oralità..


La tastiera

Leggo su una rivista le meraviglie dei videogiochi con i loro super controller, consentono un'interattività ed un realismo d'esperienza "totale", capito?
I citrulli son serviti e contenti.

Affondare il rapporto con la macchina, dissimularlo, saltarlo. Godiamoci allora questo momento in cui il pc è ben presente, ci fa spesso lo sgambetto, gli dobbiamo scrivere con la tastiera, muovergli le cose con il mouse.. - meraviglie della tecnologia delle parole!


il mare è ovunque (videorlab, 2001)

donna con testa classica (facebook, 2009)
Spieghiamo bene, pieghiamoci alla necessità, dispieghiamoci, ordunque.
Il software è fatto di parole, concetti , vabbè, ma è pur sempre sostanzialmente algoritmo; la riproposizione di sequenze logiche che eseguono automaticamente i tuoi comandi; il fatto è che, però, la concettualizzazione segue sempre da vicino l'enumerazione, il sequenziamento, etc. - ci sono sempre metafore che sorreggono le dimostrazioni, oltre che metonimìe che inventano gli assunti iniziali.
Mi segui? "Un discorso continuamente metaforico mi sfibra..."
L'oscurità incombe, ri-s-pieghiamoci. Se non ci fossero consonanti con vocali, parole scritte così sil-la-ban-do, logistica del pensiero che prende posizione ed è visibile a tal punto da restare impresso, non ci sarebbe scienza possibile, non ci sarebbe tecnologia, ecco la natura verbale delle macchine numeriche e dell'elettronica digitale che fonda solidamente i discorsi.
Chiunque scriva del software tiene un discorso. Anche chi definisce soltanto i sistemi operativi. Un discorso oggi non è soltanto quello che letteralmente si viene a tenere in un dato contesto, da una persona, a più persone, ma si articola in tempi e spazi diversi senza soluzioni di continuità.

http://www.comunicazione.uniroma1.it/materiali/17.27.41_ong4.pdf
Finnegan’s Wake è stato scritto per essere stampato: con la sua ortografia e con i suoi usi idiosincratici, sarebbe praticamente impossibile riprodurlo a mano con accuratezza, in più copie. Non c’è mimesi, qui, in senso aristotelico, se non ironicamente. In realtà la scrittura è il vivaio dell’ironia, e più a lungo dura la tradizione della scrittura (e della stampa), più cresce l’ironia (57).


L'ironia sarebbe sinonimo di distanza, capacità e possibilità di distaccarsi dall'oggetto. Ed il codice? Chi scrive software ha una autorialità rintracciabile fino a divenire una marca ? Può concepirsi un software empatico?

[stage 20-10] committenti


Ci si deve chiedere di allestire un Reference che coinvolga gli utenti nella ideazione e gestione di attività diverse, ma che li riguardino, con un processo di cooptazione sul campo a tre-quattro livelli di partecipazione - per esempio, utente, utente esperto, redattore, editor.
Il committente deve essere interno all'università, ma anche esterno e vicino alla mission della formazione on the job** e del customer involvement*

Utilizzare il termine Reference serve a specificare subito l'accezione colta che si intente del callcenter, della sala controllo, del centro logistico a distanza, dei servizi di supporto alla comunicazione (contatto e redazione); serve a chiarire che si collabora all'evoluzione delle stategie primordiali delle attuali strutture sia nel versante editoriale che in quello direttamente di advertising

Cosa offriamo di diverso, quando affianchiamo il "sito" con un "reference" contattabile come CallWeb [non è una semplice operazione di affiancamento]: qualche nota fondamentale in merito:
  • c'è una parte scritta, di sistema, il codice, il software - progettabile, di una consigliabile stabilità dinamica nei database (quelli che scrivono l'interfaccia a partire dalle attività dei frequentatori, dei processi e dei prodotti);
  • ed una parte orale, fluida per sua natura, instabile perchè compromessa in diretta, di persone con altre persone, una opzione di massa indispensabile alla comunicazione specializzata del digitale;
Lavoriamo nei Reference direttamente alla liquidazione delle code tayloristiche e deterministiche del neo-vetero (sic!) capitalismo che accompagna inevitabilmente l'esplosione inquietante delle strategie innovative della matematica dell'incerto, dei linguaggi aperti, del dumping delle tecnologie sulle tecnologie stesse (vedi notizia di questi giorni se vuoi http://uniet.blogspot.com/2009/08/un-laboratorio-chimico-in-un-chip.html).


* Formazione permanente del lavoratore dipendente
Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente
Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva
La flessibilità del lavoro e dell'occupazione
** Customer involvement
http://www.arredanegozi.it/PDF/POP_DISPLAY/pop&display_92.pdf
http://www.abstract.it/technical-area/european-plone-symposium-2009/agile-project-management
http://www.telecomitalia.it/
http://www.springerlink.com/content/j71n209n8gg4t1a8/
  1. http://home.dei.polimi.it/ghezzi/_PRIVATE/Capra.pdf La gran parte dei metodi agili tentano di ridurre il rischio di fallimento sviluppando il software in finestre di tempo limitate chiamate iterazioni ..anche se ogni singola iterazione non ha sufficienti funzionalità da essere considerato completo deve essere rilasciato e, nel susseguirsi delle iterazioni, deve avvicinarsi sempre di più alle richieste del cliente. Alla fine di ogni iterazione il team deve rivalutare le priorità di progetto....I metodi agili preferiscono la comunicazione in tempo reale, preferibilmente faccia a faccia, a quella scritta (documentazione). Il team agile è composto da tutte le persone necessarie per terminare il progetto software. Come minimo il team deve includere i programmatori ed i loro clienti. (con clienti si intendono le persone che definiscono come il prodotto dovrà essere fatto. Possono essere dei product manager, dei business analysts, o veramente dei clienti).
  2. quelli che costituiscono il suo vero vantaggio competitivo e che sono quasi sempre "nascosti" nei processi collaborativi. L’azienda normalizzata è scarsamente competitiva e difficilmente resiste alla globalizzazione.Noi pensiamo che soprattutto le aziende italiane debbano utilizzare l’informatica per valorizzare al meglio la capacità delle persone, il vero elemento competitivo.
  3. bibliotime social reference manager + Gestione e organizzazione di qualsiasi tipo di risorsa on line, selezionata dal singolo utente e condivisa con una comunità virtuale

Su un filo di rasoio


Don Lorenzo [mentre le perseidi... 12 agosto 2009] - La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
[..]

Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: “Tant'è ladro chi ruba che chi para il sacco”. Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto.

A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. […]



I nostri criteri, irrinunciabili (che quindi pesano sul committente) per una ricerca didattica che sia tale, comportano nel networking:
  • innanzitutto, il target giovane, anzi giovanile, dei redattori-utenti che cioè prevede una pratica volontaria degli studenti, libera, utilitaristica, gratuita, di diletto, che dal punto di vista della produzione e del lavoro implica fatalmente un'atteggiamento volontaristico degli stagisti rispetto alle richieste di sistema del committente classico (callcenter, tutoraggio,test di verifica, notizie eterodirette) ;
  • poi, il reclutamento degli studenti per gli stages "interni" della triennale e della magistrale - cioè che si svolgono all'interno dello stesso corso di laurea - risente di questà gratuità (intesa come libertà di pensare insieme sia al processo che al prodotto finale) e delle ragioni di opportunità (sono comodi, sono il rifugio a portata di mano dello studente per non fare gli stages in azienda o in una istituzione) che limitano la selezione necessaria d'ingresso che non ha da essere di specialità - sia chiaro - ma di motivazione;

[Stage 20-10] tecnologie della parola

(..) intrappolate nell'ascensore, fuori il normale (..)(..) "

(..) Possiamo dire che non ci sia comunicazione oggi senza questo lavorìo che l'incontro con le tecnologie della parola crea nella società a tutti i livelli e in tutti gli ambiti.

Linguaggi e scritture sono confusi attraverso il codice, lo scripting, in una tessitura pervasiva senza soluzioni di continuità che la mondializzazione dei processi generalizza e rende disponibile con l'ubiquitous computing. (..)"


apparati preliminari
http://www.geocities.com/grunciter2001/ong.htm
Testo fondamentale per ricostruire l'evoluzione della coscienza umana in relazione alle varie tecnologie intellettuali che si sono succedute nell storia della nostra specie.
http://www.comunicazione.uniroma1.it/materiali/17.27.41_ong4.pdf
Finnegan’s Wake è stato scritto per essere stampato: con la sua ortografia e con i suoi usi idiosincratici, sarebbe praticamente impossibile riprodurlo a mano con accuratezza, in più copie. Non c’è mimesi, qui, in senso aristotelico, se non ironicamente. In realtà la scrittura è il vivaio dell’ironia, e più a lungo dura la tradizione della scrittura (e della stampa), più cresce l’ironia (57).

http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=4138
La nuova oralità presenta somiglianze con la vecchia per la sua mistica partecipatoria, il senso della comunità, la concentrazione sul presente e addirittura per l'uso di alcune formule, ma essa genera il senso di appartenenza a gruppi molto più ampi - a ciò che McLuhan chiama “villaggio universale”..
http://www.wbt.it/index.php?pagina=434
da invenzione unica, risultato della ricerca e della sperimentazione di pochi specialisti a strumento comune, diffuso a tutti gli strati sociali e integrabile ed integrato nelle diverse attività umane.
http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?CodiceLibro=244.1.18




e noi? dunque, voi che state studiando date un'occhiata preliminare ad alcuni apparati; in tal modo possiamo metterci subito al lavoro senz'altri indugi: persone, macchine, ambienti, relazioni, attività.

Si tratta di pensare il reference con persone dentro e fuori, elaborare una generazione successiva ai social-portal network e, insieme, contemporanea alle culture della pubblicazione e dello scambio nate nella Bay e propagatesi tramite la rete (keywords sono Wired, Rheingold, Marc Andreessen,
Linus Torvalds, Bram Cohen, Rajeev Motwani,.), lavorare nel campus come riferimento logistico, studiare i processi; occuparsi direttamente, esplicitamente di comunicazione, oltre il recinto dell'informazione.

L'area dell'intrattenimento e dell'interlocuzione (facebook, myspace, ning) è sovrastata dal digitale diffuso nella vita quotidiana e di lavoro; d'altro canto le fabbriche tayloristiche dei callcenter, dei database normalizzati, della serializzazione spinta dalla postproduzione, si gonfiano come la rana della fiaba e scoppieranno presto.
E' in corso il processo, basta seguirlo, non lasciarsi distrarre dai prodotti di transizione.



note sono ammessi allo stage 20-10 studenti; i due livelli sono predefiniti, come redattori 20 / editors 10

Scritto


[stage 20-10] segue tecnologie della parola

segue da http://ambientidigitali.blogspot.com/2009/08/stage-20-10-tecnologie-della-parola.html
Stefania e Germana drizzano le orecchie, non a caso. Lo stage 20-10 per le Redazioni Digitali cela un'intenzione più vasta, quella di raccogliere i frutti di un lavoro decennale sul web digitale per le professionalità di redattore e di editor.
Trattandosi di training on the job abbisogna di interlocutori ai quali fornire delle soluzioni
adeguate di networking, per i quali fare il lavoro.
Non ci mancano (Corsi di Laurea, Dipartimenti, Facoltà, Insegnamenti, Supporto alla didattica), ma difficilmente (esclusi i laboratori del prof. Gambarara) ci possono accompagnare solidarmente in questo progetto, dovremo aggiustarci, vediamo perchè.

I nostri criteri, irrinunciabili
(che quindi pesano sul committente) per una ricerca che sia tale, comportano nel networking:
  • innanzitutto, il target giovane, anzi giovanile, dei redattori-utenti che cioè prevede una pratica volontaria degli studenti, libera, utilitaristica, gratuita, di diletto, che dal punto di vista della produzione e del lavoro implica fatalmente un'atteggiamento volontaristico degli stagisti rispetto alle richieste di sistema del committente classico (callcenter, tutoraggio,test di verifica, notizie eterodirette) ;
  • poi, il reclutamento degli studenti per gli stages "interni" della triennale e della magistrale - cioè che si svolgono all'interno dello stesso corso di laurea - risente di questà gratuità (intesa come libertà di pensare insieme sia al processo che al prodotto finale) e delle ragioni di opportunità (sono comodi, sono il rifugio a portata di mano dello studente per non fare gli stages in azienda o in una istituzione) che limitano la selezione necessaria d'ingresso che non ha da essere di specialità - sia chiaro - ma di motivazione;
Chiediamo agli stagisti
  • coinvolgimento nella riflessione tecnologica che porti a compromettersi col codice, quindi con la natura algoritmica dei linguaggi veicolati dal web e dal digitale che includono tutte le retoriche antiche e moderne;
  • disponibilità ad uno stile di studio-lavoro definitivo, cioè già consapevole della scelta ulteriore che richiede la partecipazione ad un gruppo di lavoro obbligante che non preveda da parte dell'istituzione forme di compenso al di fuori della routine voti/crediti;
Per questo la prima attività comune dello Stage sarà di ricognizione e di definizione successiva della committenza possibile, sia interna che esterna all'Università.

Un ambiente on line per l’apprendimento

(http://www.wbt.it/index.php?pagina=395) Una coerenza, invece, presente nella proposta di Pier Giuseppe Rossi che legge nei "Cinque memos per la scrittura del prossimo millennio" – leggerezza, esattezza, visibilità, rapidità, molteplicità - del Calvino delle "Lezioni americane", le possibili caratteristiche per la costruzione di un ambiente on line per l’apprendimento


Aridaje! direbbero al bar della Garbateeela:leggerezza, esattezza, visibilità, rapidità, molteplicità, nient'altro? Che ne dice la Castellitti, non parla? A pelo d'acqua, tra cielo e mare su Facce er Book.

Daniele Barca Abstract
Come cambia l'insegnamento di fronte alle generazioni multitasking? come docenti, quanto si può imparare dai paradigmi della convergenza tecnologica e culturale per realizzare un modello di didattica in cui ogni medium sia utilizzato coerentemente alla propria natura? Quale contributo originale e rispettoso della propria vocazione può offrire la scuola a studenti la cui acquisizione di conoscenze e competenze avviene oggi solo per percentuali minime all'interno delle aule? (http://www.wbt.it/index.php?pagina=393)
comincia così ma poi spara una barca di sciocchezze tipiche dell'insegnante colto italiano: noi conserviamo l'enunciato che può servirci, [...]

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