L'espressione orale non è mai solo verbale, ma è uno stile di vita 'verbomotorio', che coinvolge il corpo intero dell'individuo in ogni attività: ogni azione e interazione è retorica.
(..) L'udito, a differenza della vista che isolando i singoli elementi li separa, li unifica e li armonizza. 
“Un'economia verbale dominata dal suono tende verso l'aggregazione (armonia) piuttosto che verso l'analisi disaggregante (che compare assieme alla parola scritta, visualizzata). Tende anche all'olismo conservatore (il presente omeostatico che dev'essere mantenuto intatto, le espressioni formulaiche che devono essere conservate), al pensiero situazionale (di nuovo olista, con l'azione umana al suo centro) piuttosto che a quello astratto, ad una organizzazione della conoscenza centrata attorno alle azioni di esseri umani o antropomorfi, piuttosto che attorno a cose impersonali”.
[http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=4138]
Fin qui la Tussi; poi, possiamo avvicinare l'oralità secondaria, quella che ci interessa, cioè di persone che parlano come magnano e che scrivono come parlano in telematica: è di massa, praticata fuori dalle scuole (alleluja), confonde i vari piani ma solo perchè li ignora; non sa scrivere secondo la definizione di una professoressa e se-è-per-questo non sa neanche parlare; affastella parole sulla tastiera che seguono solo il flusso della comunicazione che sente immediata ma che pretende scritta hic et nunc 
per sempre.
La sua oralità è senza corpo, senza voce, ma anche senza sintassi o paratassi: eppure funziona grezzamente, va allo scopo.
La nuova oralità presenta somiglianze con la vecchia per la sua mistica partecipatoria, il senso della comunità, la concentrazione sul presente e addirittura per l'uso di alcune formule, ma essa genera il senso di appartenenza a gruppi molto più ampi - a ciò che McLuhan chiama “villaggio universale”..
La telematica non rovina niente, dato che prima di andare alla tastiera costui
 non sa parlare e neanche scrivere, anzi questa telematica (sms o email, non conta) sblocca un interdetto: rimette in gioco le parole e non per giocare, ma per esprimere, dire, fare.
Chi è che ha detto, quel genio, che crediamo di dover parlare come ci hanno insegnato alcune maestre alle scuole elementari, una lingua castrata e inutilmente formalizzata da altri - come le espressioni matematiche che a noi non dicono altro che "
 esercitami !".
Vediamo, copia incolla e via, un testo cercato con google sulla funzione delle maestre e della scuola.
Don Milani Lettera ai giudici Barbiana 18 ottobre  1965

  Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà  infatti facile ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. […]
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola  elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta  semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che  avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo  religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero  consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo  orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i  ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e  cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario  glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico. La questione appartiene a  questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di  argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo  le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo  insieme. […]
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di  sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Dovevo ben insegnare  come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di  stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che  erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della  nostra scuola c'è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani  americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del  motto fascista “Me ne frego”. Quando quel comunicato era arrivato a noi era già  vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle  religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come  la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione  per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che  altri non dice. È l'unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo  dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non  monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in  cerca d'una “guerra giusta”. D'una guerra cioè che fosse in regola con  l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata.  Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: Ci sono arrivate decine di  lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col  fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con “interviste” piene di  falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle “interviste” senza  curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso  Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata.
Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi  italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni  di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per  comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che  si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore  di religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han  scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che  racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non  toccava a lui chiamare “vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore”  quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E  ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici. A questo punto mi occorre  spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso,  alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di  reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola  buona. La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo  ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e  deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un  filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo  somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il  senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia  del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che  ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare  condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo  ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare  la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori  del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile  e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani  ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo  di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle  nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i  “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi  vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è  dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se  lo condannate attenterete al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei  ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che  essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando  sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso  del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per  cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello  sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola  e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è  scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare  la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa  prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e è  scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona  testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri.  Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che  ci mandi molti giovani capaci di tanto. Questa tecnica di amore costruttivo per  la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone,  l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia  di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti  tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per  scardinarlo, ma per renderlo migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a  tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della  Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo  appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di  eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono  parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli.  Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico.  Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio  favore.
Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse  reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare  che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso  legislativo. L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola  alla Carta Costituzionale “al fine di rendere consapevole la nuova generazione  delle raggiunte conquiste morali e sociali”. (ordine del giorno approvato  all'unanimità nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste  morali e sociali è l'articolo 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di  offesa alla libertà degli altri popoli”. Voi giuristi dite che le leggi si  riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola  ripudia è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un  invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a  noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora. È  dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no  obbedire nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio  li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano  davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di  ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali. A sentir  loro tutte le guerre erano “per la Patria”.
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che “per la Patria” non erano. I nostri  maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli  eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880  aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913  ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare. Dal '22  al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti  le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio  è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con  sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del  potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell'articolo è lecito  pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata.  Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran  massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora l'esercito ha  marciato solo agli ordini di una classe ristretta. Del resto ne porta ancora il  marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000 al mese per i figli dei  ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo  stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un  attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o quasi mai  rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza. Del resto in  quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria? Forse  quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di  Napoleone in Russia. Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo  l'esercito inglese a Suez. Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo  l'esercito russo in Polonia. Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo  l'esercito italiano il 24 Maggio. Ho a scuola esclusivamente figlioli di  contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici  giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio  fin dal 1861. […]
Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione  (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i  patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale. Io non  li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un  bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri.  Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della  borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il  fascismo e le sue guerre. A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati  uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano  obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta  nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la  chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che  non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata.  Sono i cultori dell'obbedienza cieca. Condannare la nostra lettera equivale a  dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che  devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà  comandati. E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di  Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come  candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol  dimenticare quello che ha fatto quand'era “un bravo ragazzo, un soldato  disciplinato” (secondo la definizione dei suoi superiori) “un povero imbecille  irresponsabile” (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio di  Claude Eatherly e Gunter Anders - Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che  anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo  conosce sotto forma di proverbio: “Tant'è ladro chi ruba che chi para il sacco”.  Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il  mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che  la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha  richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati,  tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza  fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto  a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E così siamo giunti a quest'assurdo  che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva.  L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo  disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici  dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di  ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque  quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per  uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani  che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma  la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né  davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico  responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in  questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso  tecnico. […]
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente  (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il  cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare  coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno  come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non si parlava di armi  atomiche. “Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di  distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano  alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della  guerra” (Nonviolence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1). Allora la guerra  difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la  Chiesa né per la Costituzione. […]
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la  specie umana? Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di  andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi  esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato  fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il  dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura. Spero che in tutto  il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola  insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino  che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità. Non è un motivo per non  fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità  ci salveremo almeno l'anima.
Don Milani